Le parole pronunciate da Gesù sulla Croce
Dobbiamo accostarci al letto di morte di Gesù con la predisposizione d'animo che avremmo se su quel letto ci fosse una persona a noi molto cara, un nostro parente, un fratello, una sorella, la madre, il padre o i figli. Solo con questa predisposizione riusciremo a capire ed a vivere il significato profondo della croce.
"Nessuno
ha un amore più grande di questo, di uno che da la vita per i suoi.
E Io quando sarò
innalzato da terra, attirerò tutti a me"
Queste sono le
Sue parole e se noi vogliamo gloriarci nella vita, dobbiamo gloriarci solo in
questo, nella Croce di Gesù. Anche se per
ipotesi impossibile, la Resurrezione non fosse mai avvenuta e la Passione di Gesù
fosse terminata con quest'ultima espressione
e
lo crocefissero là", avremo ugualmente contemplato il
trionfo dell'amore umano, il grande sacrificio che diede un nuovo volto
all'umanità.
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"E LO CROCEFISSERO LA"
Tutti si sono
fermati su semplici parole come: tradizione, storia, archeologia, arte,
letteratura, filosofia e teologia senza inneggiare alla gloria della croce.
Tante
generazioni sono trascorse da allora, ed un gran numero di persone ha potuto
contemplarla, ma non tutti sono arrivati alla stessa conclusione, non tutti
hanno accolto il messaggio della sua missione. Il cristiano
è chiamato a contemplare la croce ed a sentirne tutto il peso. Ci soffermiamo
sul significato delle frasi che Gesù disse dopo essere stato innalzato da terra.
La prima parola: "Padre perdona loro"
I profeti avevano detto di Lui “Egli non avrebbe spezzato una canna incrinata”, e Gesù rispose: “non sono venuto per giudicare il mondo, ma perché il mondo fosse salvato per mezzo mio”.Nei suoi insegnamenti accennava spesso al perdono :”Perdonate e vi sarà perdonato”, nel Padre Nostro, fate del bene anche ai vostri nemici, a chi vi odia, pregate per quelli che vi perseguitano, quando volevano lapidare la prostituta disse:”donna, chi ti ha condannato?Voleva essere il modello degli uomini: “Io sono la via della verità e la vita”, dimostrando e confermando in tutto quello che diceva e faceva il modello di vita da seguire e da imitare. Doveva perciò far brillare il perdono come ultimo documento a conferma che Egli realmente era il Figlio di Dio. Dal trono su cui stava inchiodato, elevato all’altezza di poter attirare tutti a se, nel momento solenne d’essere proclamato Redentore del mondo, era necessario che compisse un atto di perdono divino. Nel Suo perdono aveva incluso (ed ha incluso) tutti quelli che desideravano essere “Figli del Padre che è nei cieli”.Fece in modo che le sue parole fossero percepite bene ai presenti, perché l’implorazione di Cristo che chiedeva perdono per i suoi carnefici, fosse d’esempio per i suoi insegnamenti. “Se sei Figlio di Dio scendi dalla croce” dicevano i persecutori come prova delle Sue affermazioni. Quando gli sputarono in faccia non disse niente “Se uno ti da uno schiaffo, porgi l’altra guancia”, quando lo derisero e lo maltrattarono non poteva e non voleva difendersi, perché solo nel Padre aveva la Sua difesa e perché non voleva ribellarsi alla Sua volontà, perciò, ancora una volta chiese al Padre di perdonare. La seconda parola "Oggi sarai con me in Paradiso"
Sul pianoro roccioso accanto alle tre croci
stavano quattro romani a fare la guardia.
A loro non importava la regalità di Gesù, erano soldati istruiti ed addestrati alla crudeltà ed il loro compito era quello di tenere a bada la folla. Questa folla era agitata ed istigata dai Sommi sacerdoti ad insultare Gesù. I sacerdoti videro Gesù innalzato da terra con le mani ed i piedi inchiodati, con le corde che tenevano stretti i polsi e le caviglie ed il torace per evitare che i chiodi strappassero la carne, pensarono di aver finalmente vinto e visto che il loro desiderio maligno era una realtà palpabile, erano felici. “Non scenderà più dalla croce”, si dicevano e l’atteggiamento di sottomissione e di dolore di Gesù dava loro la sicurezza che ogni Suo potere sicuramente era svanito. Anche se prima Egli aveva operato dei miracoli indiscutibili, vedendolo sulla croce i soldati pensavano che erano stati tutti trucchi ben costruiti. Se realmente aveva salvato tante persone, perché non dimostrava la Sua potenza salvando se stesso? Gli avevano chiesto di scendere dalla croce per dimostrare che Egli era Figlio di Dio, ma Egli rifiutò. Dissero: ”Se sei il Cristo, Figlio di Dio, Re d’Israele, se hai il potere di distruggere il tempio e riedificarlo in tre giorni, salva te stesso, tutti saranno testimoni e noi crederemo”, senza aggiungere però “noi crederemo se dopo la Tua morte vedremo il Tuo corpo risorto”. Perché quel Suo Padre più potente di Lui e che era sempre con Lui non mandava degli angeli a salvarlo? Quello era il momento ideale per far valere i suoi diritti. Erano tutti agitati, e più il tempo passava più urlavano, perché avevano paura che Gesù accettasse la loro sfida. Ma Gesù non disse e non fece niente, facendo brillare la Sua generosità offrendo per primo e per tutti un esempio d’amore indulgente nell’agonia e nella morte rimanendo sulla croce fino all’ultima goccia del Suo sangue ed adempiendo così fino all’ultimo la volontà del Padre. Anche i soldati romani ripetevano gli insulti rivolti a Gesù alzando i calici colmi di vino ed invitandoLo a brindare con loro; dicevano: “Tu che ti sei degnato di mangiare e bere con i pubblicani ed i peccatori, puoi degnarti di bere un sorso con noi!. Egli si poteva aspettare un simile comportamento dai soldati, dagli scribi e dai farisei, ma quel giorno anche i pubblicani che aveva sempre difeso gli erano contro e l’oltraggio che lo feriva di più era quello che veniva dalle croci ai Suoi fianchi. Tutto questo anche se era stato considerato amico e difensore dei pubblicani e dei peccatori, anche se aveva affermato che nel Regno dei Cieli c’era posto anche per loro e, attraverso le parabole mostrava la Sua preferenza per gli oppressi, per la pecorella smarrita ed il figliol prodigo avvilito, chiunque gli chiedeva aiuto lo esaudiva, ed era riconosciuto come l’unto del Signore, il Figlio di Dio. Un paralitico era andato da Lui implorando la guarigione e se ne ritornò guarito, una prostituta cadde ai Suoi piedi e divenne una delle Sue creature predilette, un apostolo lo confessò come Figlio di Dio ed Egli lo nominò Capo della Sua Chiesa universale. Ma in quel momento l’avevano lasciato tutti a ricevere un’ingiusta ricompensa. Egli aveva dichiarato di essere un Re ma non di questo mondo e che doveva prendere possesso del Suo Regno attraverso la barriera della morte. Ai Suoi fianchi c’erano i due malfattori e uno di essi lo insultava mentre l’altro Gli chiedeva di ricordarsi di Lui quando era nel Suo Regno; così avrebbe potuto morire in pace. Sapeva in chi doveva riporre la sua fede anche se apparentemente era sconfitto in croce. Colui che era stato mandato per le pecore smarrite non si era fatto aspettare dal peccatore smarrito ma si era affrettato ad accoglierlo nel Suo ovile. Possiamo soffermarci, come ha fatto Gesù, su questa espressione del suo compagno di sventura sulla croce, il peccatore pentito, il buon ladrone com’è stato chiamato:”In verità noi riceviamo ciò che è giusto per il nostro comportamento, Ma quest’uomo non ha fatto nulla di male”. E diceva a Gesù: “Signore, ricordati di me quando sarai giunto nel Tuo Regno”. E’ stato un atto di fede che ha fatto breccia nel cuore di Gesù che aveva premiato sua Madre tempo prima a Cana, che aveva esaltato la fede del centurione romano a Cafarnao, che aveva glorificato nella regione di Tiro la fede della donna sirofenicia e quella di Simone per la sua coraggiosa professione di fede e così, per la stessa professione, premia questo ladrone. “Ricordarlo” era l`unica cosa che il moribondo chiedeva sul letto di morte e Gesù volse il capo verso il compagno di pena e parlò con formula solenne come era abituato a fare quando annunciava la verità e disse:”in verità ti dico che oggi tu sarai con me in paradiso.” La terza parola: “Ecco tuo figlio”
I
farisei, mentre contemplavano la loro vittima sconfitta in croce, cominciavano a
dare segni di stanchezza, giacché ormai avevano raggiunto il loro scopo ed
aspettavano solo la Sua morte.
La folla andava disperdendosi verso Gerusalemme, stanca di vedere quelle figure in croce e cercando altre distrazioni. Era la vigilia della grande solennità di Pasqua e sia nel Tempio che nel mercato, regnava un gran trambusto prima del tramonto; preghiere di ringraziamento, doni da acquistare per poi offrire al tempio, per attenersi all’osservanza della legge, tutto per la gloria di Jahvé, quindi la folla che era sul Golgota “detto cranio” stava ritornando nella città. Le guardie divennero più remissive, avendo assolto il compito di sorvegliare la folla e permisero ai pochi rimasti di avvicinarci a Gesù, così, a poco a poco, si formò un gruppetto di donne. San Giovanni ne nomina tre: “Ora presso la croce di Gesù stavano la Madre, Maria di Cleofa e l’altra Maria” (Maria Maddalena). Maria, Sua Madre, era là ad assisterlo, insanguinato e morente come un volgare assassino.Da trentatré anni lei sapeva che la fine sarebbe stata orrenda ed il momento era giunto. Fin dal primo giorno che Gli dava le sue cure nella capanna di Betlemme, sapeva che il Figlio di Dio avrebbe aperto la strada del trono di Suo Padre, attraverso sofferenze e tribolazioni. Non aveva mai dimenticato quello che le aveva detto il vecchio Simeone quando l’aveva offerto al Padre presentandolo nel tempio: “Questo bambino è destinato ad essere causa di rovina o di resurrezione di molti in Israele, a diventare un segno di contraddizione ed a te una spada trapasserà l’anima e così saranno rivelati i pensieri di molti cuori”. La stessa vita del suo bambino era costata la morte di molti innocenti ed il pianto disperato di molte madri. Più tardi, lo smarrimento nel tempio per tre giorni, fu un triste richiamo ad una separazione più lunga e più dolorosa. Quando Gesù la lasciava per andare a predicare la venuta del Suo Regno, si chiedeva sempre quando sarebbe giunto quel momento d’angoscia. Ora la profezia si avverava e lei, col suo cuore straziato, avrebbe preferito essere al suo posto sulla croce. Gesù non poteva rimanere indifferente a quel cuore straziato di madre. Lui, l’amante dell’eternità, vedendo sua Madre ed i suoi amici ai piedi della croce, posò il Suo dolce sguardo su di loro. Qui sul Calvario, con il cuore spezzato, vide Sua Madre ai piedi della croce e ritornava in Lui più vivo e più vero il desiderio di amore reciproco. Solo Lui poteva dire “Non c’è amore più grande di quello di chi offre la sua vita per l’amico”. Con la morte di Gesù, sembrava che la vita di Maria finisse, ma Egli non lo permise perché l’ora di Maria non era ancora giunta. Anche se Egli moriva per molti, volle che Sua Madre continuasse a vivere per molti, perché “si rivelassero i pensieri di molti cuori!” Maria aveva ancora tanto da dare in questa valle di lacrime ed Egli doveva trovare qualche mezzo per sostenerla. Senza Gesù la vita di Maria non poteva che essere estremamente solitaria, si doveva perciò trovare qualcosa che colmasse il vuoto che Lui lasciava. Era necessario che trasmettesse il Suo amore di Madre su un figlio adottivo sul quale Lei potesse espandere le Sue attenzioni. Vicino a Maria c’era Giovanni, quel Giovanni che Gesù amava che era il discepolo prediletto e che diventò il figlio adottivo ricevendo in eredità l’amore di Gesù in Maria. E Gesù, vedendo sua Madre e vicino a lei il discepolo che amava, disse:”Donna, ecco tuo figlio.” Poi disse al discepolo “Ecco tua Madre” e da quel momento il discepolo la prese con sè. Con quest’ultimo dono, Gesù si privò di quanto aveva di più prezioso, conferendo a Maria la maternità di tutto il genere umano, donando agli uomini la Sua stessa Madre, affinché fosse sempre con loro. Aveva dato luogo ad una realtà completa: Maria, la nuova Madre degli uomini, diventò la seconda Eva. Questo è il primo frutto che germinò dal Suo sangue sparso per molti. La quarta parola: “Perchè mi hai abbandonato?
Accanto al Cristo in croce erano rimasti in
pochi, nonostante che il cielo si oscurava, dentro le mura della città
continuava il mercato, come se quello che stava accadendo non potesse
interessare quel popolo.Per loro era un’esecuzione normale; un malfattore stava
per pagare per i suoi misfatti.
Sul monte Tabor, improvvisamente, si fece un silenzio solenne, Gesù, levati gli occhi al cielo, fece sentire la Sua voce implorante. Parlava in ebraico, la lingua dei profeti e dei salmi e non era capito da tutti i presenti, ma tutti comprendevano che stava implorando Eloi. In quel tempo nessuno si permetteva di chiamare Dio con il proprio nome, ma chiamavano Dio Eloi, Jahvé, solo Gesù poteva chiamarlo con il suo vero nome. Si esprimeva con voce alta, più alta di quella che ci si aspetterebbe da un uomo vicino a morire. “Era circa l’ora nona, Gesù gridò a voce alta: Eloi, Eloi, lamma sabactami?” che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Evidentemente una preghiera, qualcosa di più della semplice citazione di un salmo. Nella sua agonia Gesù aveva offerto ogni sorta di dolori senza lasciarsi sfuggire una sola parola di lamento. Giuda l’aveva tradito e Gesù lo chiamava “amico”. Gli misero le mani addosso, lo schiaffeggiarono, Pietro lo rinnegò e Gesù, in risposta, “lo fissò” e nulla più, Anna, Caifa, Pilato erano passati in ogni genere di contraddizione, ma Gesù non disse una parola, le uniche parole pronunciate da lui erano a tutela della verità. I dolori fisici si erano accumulati su di lui, e se ne vedevano i segni in tutto il corpo. Ma l’uomo dei dolori, l’amico dei ciechi e degli sventurati, che aveva attirato a se i sofferenti per soccorrerli e consolarli, non disse una parola. C’era però uno strazio più nero di ogni dolore, uno strazio che ci sembrerebbe quasi impossibile se non ne avessimo avuto conferma nelle sue stesse parole. Parole che aveva cominciato a pronunciare nell’orto, dove aveva assunto la parte del peccatore. San Paolo dice “Egli si era fatto il peccato vivente”, ma aveva sempre la possibilità di invocare il “Padre” in aiuto. Gesù fu costretto ad assaporare la privazione del Padre dal quale si sentiva abbandonato. Non disse: “Padre, se è possibile…”, ma invece, in un gemito, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Gesù si addossò tutti i dolori umani, bevve il calice di ogni miseria umana, volle conoscere la tribolazione che è “la notte oscura dell’anima”, notte che poche persone di preghiera possono sfuggire unendosi intimamente a Gesù. L’abbiamo ammirato più volte come uomo di preghiera, ora, nell’ultimo istante, si presenta a noi in completa desolazione.
La quinta parola: “Ho sete”
I soldati che facevano la guardia a Gesù,
udirono la vittima morente che invocava il Padre con il nome di “Eloi”, ma non
erano in grado di capire tutta la frase. Avevano una vaga conoscenza
dell’aramaico e l’unica parola che riuscirono a capire fu “Eloi”. Avevano
sentito di una strana favola di un uomo che si chiamava Elia che, a quanto
assicuravano i giudei, era stato trasportato in cielo su un carro di fuoco e
forse quest’uomo, che si riteneva un profeta, invocava il ritorno di Elia per
liberarsi. Intanto Gesù continuava la sua preghiera, sembrava che per lui la
vita non avesse nessun altrosignificato. Rimaneva un’altra profezia per il
compimento dell’opera intera, un altro segno davanti al quale, più tardi, quelli
che apriranno gli occhi crederanno, e il salmista aveva lasciato scritto:”A
Te è ben noto l’oltraggio ch’io soffro, stanno a te innanzi tutti i miei nemici.
Il mio cuore è spezzato dall’oltraggio, insaziabile è la vergogna e l’onta,
attendevo da te un conforto che non venne, e non trovai consolatori. E per cibo
essi mi han dato il fiele, alla mia sete mi hanno dato da bere aceto”.
Era il momento che l’ultima profezia avrebbe dovuto avverarsi, poi la coltre di morte sarebbe calata. Per alcuni fece il prodigio di cambiare acqua in vino, per altri moltiplicò i pani per sfamarli, ma per lui si era accontentato di sostare vicino ad un pozzo domandando da bere ad una donna sconosciuta: “Dammi da bere”. Gesù conosceva l’arsura con la quale sarebbe morto e la sete traccia il tormento dell’anima dannata. “Padre Abramo, [così parlò il ricco Epulone che giace nelle viscere del tartaro (inferno) rivolgendosi ad Abramo] abbi pietà di me e manda Lazzaro ad intingere nell’acqua la punta del suo dito per rinfrescare la mia lingua, perché io spasimo in questa fiamma”. Parlando della carità verso gli altri metteva in risalto il “bicchiere d’acqua” dato in suo nome. Al Tempio, all’inizio della settimana, aveva esclamato, in un momento di depressione: “Ora la mia anima è turbata.” E che diro Io? “Padre, liberami da quest’ora”. Poco tempo prima nella Giudea, in un altro momento triste pieno di contrarietà, aveva esclamato:“Padre, ti rendo lode perché hai nascosto queste cose ai saggi ed ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli.” Per poter afferrare anche il lontano significato della preghiera di Gesù sarà bene aver presente una caratteristica della sua vita, che di solito non è tenuta in considerazione; Gesù nella sua vita fu uno che umanamente si direbbe un solitario. Non è il caso di soffermarci sulla sua infanzia e nemmeno sui lunghi trent’anni passati durante i quali per quelli che lo conoscevano era soltanto “Non è costui il figlio del falegname?”. In tutto quel periodo era soltanto il figlio del falegname e basta. Ed è per questa ragione che non poteva vantare nessun diritto, ma quando si rivelò “essi si scandalizzarono di Lui”. In Galilea non ricevette certamente una buona accoglienza, chi lo riconosceva diceva: “E’ il profeta che deve venire al mondo”. In Gerusalemme le cose andarono peggio, quelli che contavano socialmente lo osteggiavano, ma più lo osteggiavano più Gesù si imponeva “Come mai costui sa di lettere, se non ha mai studiato?”, “Noi sappiamo da dove viene quest’uomo, ma quando verrà il Cristo nessuno saprà donde sia”, “Vi è forse uno solo dei capi o dei farisei che abbia creduto in Lui?”, “Scruta le scritture e vedrai che un profeta non può venire da Nazareth”, “Non abbiamo noi ragione a dire che sei un samaritano e hai un demonio?”, “Ha un demonio ed è pazzo! Perché state ad ascoltarlo?”, “Da allora molti dei suoi discepoli si ritrassero e non andarono più con Lui”. Ogni volta che si faceva vedere in Gerusalemme, in Galilea, poteva dire di non avere “dove posare il capo” e nella città santa non poteva mai passare una notte. Anche con i suoi c’era tanta distanza che Gli faceva sentire il suo isolamento “Non avete ancora capito” aveva dovuto dire una volta sul lago di Galilea. Quante volte li aveva ripresi per mancanza di fede. Quante volte era in una situazione di contrasto e, con tutto l’amore che voleva far arrivare al cuore dei suoi, doveva ripiegarsi su se stesso disilluso. Persino nell’ultima cena aveva dovuto sospirare: “Da tanto tempo sono con voi e voi non mi avete conosciuto”, sospiro che fu ripreso un’ora dopo nell’orto: “Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me”. Sono questi i momenti in cui Gesù sentiva viva la tristezza dell’isolamento che è comune a tutti gli uomini. Quando la folla lo osteggiava a Cafarnao, si rivolse ai suoi e disse: “Volete andarvene anche voi?”. Egli aveva guarito dieci lebbrosi ed uno solo tornò a Lui per ringraziarlo ed Egli osservò: “Non erano forse dieci i guariti? Dove sono gli altri nove?” La sera prima che Gesù venisse messo in croce, nel cenacolo disse: “Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui voi sarete dispersi, ciascuno per conto suo e mi lascerete solo”. In San Giovanni rimasero così vive le sue parole che le tenne come sfondo nel suo vangelo “Egli era nel mondo ed il mondo per mezzo di lui fu fatto ed il mondo non l’ha conosciuto. E’ venuto nella sua proprietà ed i suoi non l’hanno accolto”.San Giovanni, San Matteo e San Luca gli fanno eco nel grido pieno d’angoscia “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono inviati a te! Quante volte io volli radunare i tuoi figlioli, come la chioccia raduna i suoi pulcini sotto le ali e tu non hai voluto!”. San Matteo e San Giovanni mettono per ben 40 volte sulle labbra di Gesù il nome del Padre, suo compagno indivisibile anche quando tutti lo abbandonavano:”Padre ti ringrazio! Padre, liberami da quest’ora! Padre l’ora è venuta! Io e il Padre siamo una cosa sola! Io non sono solo, il Padre è con me !”. La notte dell’ultima cena, all’entrata nell’orto, quando i suoi persecutori infierivano, Gesù disse “Non berrò io il calice che mio Padre mi ha dato?” Vediamo di comprendere che cosa c’era in fondo a questo calice., promise l’eterna beatitudine a quelli che gli avessero dato da bere. Durante la predicazione nel Tempio, il punto più culminante sembra raggiunto quando Egli esclamò: “Se qualcuno ha sete venga a me e beva”. Dei suoi patimenti, questo fu l’unico che Gesù Cristo fece durante la sua passione. La perdita di sangue, il digiuno prolungato, avevano provocato in Gesù una sete insostenibile. D’altra parte non si trattava di una sete di cui Gesù potesse farne ameno, aveva superato le tentazioni nel deserto per quaranta giorni soffrendo la fame e la sete, ma in quel momento le scritture dovevano avere il loro pieno compimento, non si trattava di un lamento, ma di un comando. Dopo ciò Gesù, sapendo che tutto era compiuto, affinché si adempissero le scritture, disse: “Ho sete”. Le persone che erano presenti non avevano niente, anche Maria, sua Madre che intercedeva sempre per gli altri, aveva le mani vuote.Soltanto i soldati di guardia avevano la possibilità di ricorrere ed un rimedio.Nelle loro borracce avevano del vino, vino che i giudei usavano per le lunghe ore di guardia per stare svegli e che era più aceto che vino.Giaceva per terra una spugna, non deve far meraviglia la spugna perché veniva usata dai soldati per asciugarsi il sudore delle mani e della faccia per il caldo che faceva. Un soldato afferrò la spugna, immergendola nel boccale, poi preso un bastone, un gambo d’issopo, lo fissò alla spugna così inzuppata, e l’accosto alle labbra insanguinate di Gesù. Gesù sorseggiò, anche se poche ore prima aveva rifiutato una bevanda che conteneva del narcotico. Accettando voleva premiare quest’ultimo atto di carità fatto dal carnefice, che veniva rimproverato dai suoi compagni: “Lascia perdere, vediamo se viene Elia a salvarlo”.Gesù voleva onorare l’ultimo uomo che volle dargli refrigerio nell’ora del suo tormento.Era l’ultimo uomo che in terra gli faceva un servizio. Gesù aveva detto: “Perché chi vi darà un bicchier d’acqua in mio nome, in verità vi dico, non perderà la sua ricompensa”.
La Sesta e la settima parola: “È giunta l'ora –
Glorifica tuo figlio”
Ormai tutto era compiuto. Le profezie, una dopo
l’altra si erano avverate.La volontà del Padre era stata fatta fino all’ultima
virgola: “Non sapete voi che io devo attendere le cose del Padre mio?”.La
volontà del Padre era il principio e doveva essere la fine della vita terrena di
Gesù. La sua opera era compiuta e Gesù poteva contemplarla dalla croce. Dio
Padre aveva predisposto che Egli sarebbe stato il riscatto dell’umanità caduta
nel peccato, Gesù doveva versare per tutti il suo sangue, tutto, fino l’ultima
goccia. La missione di Gesù sulla terra era finita, l’aveva terminata
nell’ultima cena, quando aveva elevato la preghiera al Padre:”Padre, l’ora è
venuta: glorifica il tuo figlio, affinché tuo figlio glorifichi te. Io ti ho
glorificato sulla terra compiendo la missione che Tu mi hai affidato, ed ora Tu,
Padre, glorificami presso te stesso con la gloria che io ebbi da te quando il
mondo non era”.
Dopo quella preghiera rimaneva ancora il calice da bere fino in fondo, ora l’aveva vuotato fino all’ultima goccia. Aveva comunicato ogni cosa e non poteva aggiungere altro. Ora poteva deporre tranquillamente la sua vita in un supremo atto d’amore, l’aveva dichiarato in varie circostanze, che anche quel gesto doveva essere fatto in un atto di spontanea volontà. Egli, che aveva chiamato alla vita diverse persone, ora doveva lasciare la propria per riprenderla dopo tre giorni. Non scese dalla croce all’invito fatto da presenti, ma, morendo, diede una nuova luminosità alla vita di tutti gli uomini. Gesù, nell’ultimo istante, abbracciò con uno sguardo il passato. La storia di tutti gli uomini che vissero prima di quel tempo e dopo convergeva sempre a lui, dai piedi della croce iniziò il principio di un mondo nuovo. Con la voce morente nella desolazione che passava, si affidava al Padre:E quando ebbe preso l’aceto disse: “è finito”. Gesù poi, gettando un grido a gran voce disse: “Padre nelle tue mani raccomando il mio spirito”; detto questo, chinato il capo, spirò. Il fatto più tremendo, che mai ebbe luogo su questa terra era ormai compiuto, il più grande amore di Dio si era manifestato. Gesù, il figlio di Dio fatto uomo, era morto e la terra portava il suo cadavere attraverso lo spazio ed il tempo. La natura che da lungo tempo era in attesa della manifestazione del figlio di Dio, gemeva e soffriva le doglie del parto “si scosse” ed ecco che il sole si oscurò, il velo del tempio si squarciò in due parti da capo a fondo, e la terra tremò e le rocce si spezzarono, le tombe si scoperchiarono e molti corpi di santi che riposavano risuscitarono; uscirono dalle tombe e apparvero a molti nella città santa e non ritornarono che dopo la resurrezione di Lui”. |
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